(Assoc. Centro Culturale Don Minzoni Assemblea sociale al “Vecchio torchio” del 28.03.2009)
Questo binomio cultura (esperienza, risp. cultura come esperienza potrebbe anche indurre a un (grosso) equivoco.
Cultura come esperienza di un insieme di pensieri utopici, di apparenza della realtà
Così da un punto di vista cinico si potrebbe dire: cultura = quell’insieme di idee/costruzioni mentali/teoriche/intellettuali (il filosofo greco Platone parlava del regno delle idee, il regno che lui definiva delle ombre in una caverna come delle apparenze, cioè teoremi che non possono corrispondere alla realtà e al regno del reale). Questo insieme di idee/costruzioni, un altro gruppo di filosofi greci, detti sofisti, avevano definito come sofismi, asserzioni appunto solo vere in apparenza, ma in realtà non vere, cioè false perché non corrispondenti con la realtà. Ma anche Platone stesso, malgrado la sua teoria sulle idee contesta i sofisti comunque perché riteneva queste idee sofiste in contrasto con i principi della vita e del senso dell’esistenza. .
Poi i Romani (che volevano essere più realisti, es. gli epicurei, gli stoici e gli eclettici) e i pensatori/filosofi dei secoli susseguenti insistettero però che di questo insieme di pensieri/idee/costruzioni teoriche/intellettuali (detta cultura) si poteva farne esperienza, si poteva sperimentare (così anche la filosofia medioevale, cfr. S. Agostino che sottolinea l’importanza reale del singolo uomo/individuo, Tomaso d’Aquino che circoscriveva la realtà con definizioni filosofiche).
Ma poi gli Illuministi e il loro ideologo principale Emanuele Kant che spinge all’eccesso nuovamente la ragione del singolo creando il ben noto detto “cogito ergo sum”, da cui ne sono poi sfociate le conseguenze estreme dell’individualismo (v. poi i filosofi Hobbes:”homo homini lupus” o Spinosa con le sue teorie che ogni individuo è un “monade” una individuo solo e isolato da tutti, che non ci può essere comunicazione fra i singoli individui).
Ed ecco le evidenti conseguenze di questo sfrenato individualismo fino ai nostri giorni:
P.es.: se penso al bello (un bel viso, una bella chiesa, un bel dipinto, un bel canto) io posso ben dire/asserire che è bello, ma ecco che qualcun altro può subito ribattere che secondo lui non è bello perché a lui non piace ed ecco che si giunge al ben noto, io direi, quasi sofisma: bello è ciò che piace!
Stesso ragionamento se si pensa al buono o la bontà. Cos’è la bontà? P.es. un papà buono. Uno ti dice che buono è il papà che asseconda sempre suo figlio con un bel sorriso/un altro ti dice: è buono il papà che usa la verga! (infatti quest’ultimo potrebbe dirti che le sue idee/opinioni sono oltretutto suffragate anche dai testi biblici, cioè il bel detto popolare “usa la verga chi ama suo figlio”… oggi però se useresti la verga, ti si accuserebbe quasi di esser un delinquente.
E dopo questi due esempi vedete che potrei continuare a iosa cos’è bene? Cos’è valido? Ecc.
Qual’è allora in succinto il succo di tutte queste idee/’teorie’ dette comunque cultura?
Una super teoria attualissima e di moda: ognuno la pensa come vuole (non c’è un punto fisso di orientamento, un valore determinante) cioè tutto è relativo (un dire comune, oggi sulla bocca di tutti, o quasi).
Appunto cultura (in senso ‘in’/politicamente corretto) come esperienza di idee pro e contra ormai senza alcuna possibilità di sintesi, come due linee parallele all’infinito (il ben noto relativismo… e qui ben si vede che Benedetto XVI, non era affatto fuori strada, fuori dalla realtà odierna quando poco dopo la sua elezione a ponteficie citava la “dittatura del relativismo”).
Un’esperienza di cultura questa relativista, direi frustrante e assurda, perché in fin dei conti non dà nulla di positivo alla propria esistenza: in fondo non serve alla vita… così come i filosofi del passato medioevale e illuminista arrivavano a dibattere di quanti angeli stessero su uno spillo – o sul sesso degli angeli.
Personalmente ritengo che sul senso di una cultura odierna (di nuovo) “sofista”, del genere, non valga la pena comunque perder tempo, almeno a me non interessa più di quel tanto (cioè le ritengo disquisizioni inutili).
Cultura come vera esperienza
Invece pari passo, mentre nella mia vita riflettevo, esperimentavo e verificavo quanto sopra, emergeva dall’incontro/confronto con una compagnia di amici da diversi decenni che comunque non solo esiste, ma è necessaria all’uomo una cultura, ma appunto una cultura in senso forte: cultura quale esperienza di valore esistenziale. Mi ha commosso alcune sere (15.03.2009) sulla RTSI l’intervista di Michele Fazioli in “controluce” al famoso autore d’orchestra di fama mondiale Alain Lombard che diceva:” la cultura è una necessità per la vita! – anche perché senza cultura un paese muore o è morto.
E questa esperienza che la cultura possa essere non soltanto astrazione/sofisma, ma piuttosto valido sostegno al perché, al senso del vivere è sempre esistita in fondo in tutta l’umanità, anche se magari in modo implicito, vedi per es. già il filosofo greco Socrate, perché quest’esperienza fonte di cultura, anzi è stata la base e la forza immanente di chi è vissuto nel passato, e ciò malgrado i fronzoli dei sofisti.
– Ma “l’esperienza di cultura” dell’umanità, senz’altro nel secolo scorso (il secolo degli –ismi più deleteri e tragici arrivati al capolinea: i totalitarismi, risp. le tragedie immani e disumane delle guerre mondiali) ha scosso sia i filosofi, sia i letterati, sia gli artisti, sia i politici e si è dovuto ritornare all’esperienza della cultura della realtà nuda e cruda – (altro che costruzioni teoriche/intellettuali/sofiste che ognuno la può pensare come vuole, così che se con la mia ragione penso che tu mi rompi, posso anche eliminarti, basta avere il potere) all’umiltà di dover riconoscere la vera reale dimensione dell’uomo, che pur essendo un nulla, ha comunque una grandezza – così ecco p.es. le opere del realismo (cfr. ad es. la fenomenologia di Husserl) o dell’esistenzialismo (Heidegger/Scheler/Jaspers): ci si chiede sempre di più – di nuovo – qualcosa di vero per cui valga la pena vivere (Kafka, Camus e Sartre o Claudel, Peguy, Teilhard de Chardin, Guardini).
Per me pertanto cultura è “l’aver esperimentato”, l’aver fatto l’esperienza e la continua scoperta delle vere ragioni per le quali val la pena di vivere, cioè di alzarsi al mattino e rendersi conto che sei ancora vivo, che la vita non te la sei data tu, che ti è stata data da Qualcuno più grande di te (altrimenti come faresti a essere un miracolo vivente di fronte al tuo nulla quotidiano? … che quindi la vita è stata un dono … e così anche il mangiare e il bere, il fare figli e crescerli… sono tutte esperienze (non di ideali/apparenze) ma esperienze reali di valori veri per i quali val la pena vivere.
La Terra quale esperienza basilare di cultura
E a poter tranquillamente affermare questa cultura come quella di cui necessita l’uomo per vivere (come dell’aria per respirare) mi ha sempre più rassicurato e confortato la forte esperienza che ho vissuto fin da bambino, ma anche in seguito, in continuazione, dell’appartenenza mia e di tutti alla terra, l’appartenenza dell’uomo alla terra (humus = umile!) – un’esperienza vissuta in modo particolare e preferenziale da chi la cura, la coltiva (colere-coltivarecultura!!) così in modo privilegiato dai contadini p.es..
E alcuni mesi fa degli amici mi hanno inviato una bellissima intervista del Sole 24 ore del 08 febbraio 2009 a Ermanno Olmi (chi non ricorda il famoso film “L’albero degli zoccoli”?) In questa intervista/articolo egli racconta come e perché ha deciso di girare il documentario “Terra Madre”: “E`finita la baldanzosa euforia della ricchezza facile. Il nostro futuro sarà l’agricoltura”.
– Tempi passati tutti guardavano alla terra oggi quasi non ci si rende conto che essa esiste (magari si guarda piuttosto l’asfalto! Mentre in fondo la prima essenziale esperienza culturale viene da qui il luogo della ns provenienza e del ns traguardo… (“ricordati uomo che sei terra… e alla terra dovrai ritornare”! … memento homo quia pulvis es et in pulverem reverteris).
Ma appunto per fortuna, anzi per grazia, non siamo solo terra perché la terra ti ricorda che hai comunque un qualcosa in più… ed è proprio la terra che ti fa fare l’esperienza di alzare lo sguardo, di cogliere…. “coltivare” i motivi perché sei al mondo e vivi! (cioè del divenire cultura!)
Terra di montagna quale esperienza forte di cultura
– Così seguendo questa traccia di cultura forte – quella della terra in particolare della terra di montagna mi sono accorto di essere stato forgiato da questa esperienza di vita.
Uno si accorge che la terra ti è madre, ti insegna il perché del vivere anche tramite l’immane fatica da una parte, ma l’attrazione dall’altra: ideale sua bellezza e pace incontestata. L’essenziale per vivere.
In questa tensione, nell’apprendere con fatica la pazienza, senza troppo inorgoglirti del risultato, uno esperimenta umilmente la felicità possibile all’uomo.
Chiaro che questa bellezza della montagna, della terra di montagna uno non può tenerla solo per sé. Questa esperienza deve essere condivisa con altri.
Così personalmente ho tentato di dire agli altri di questa esperienza… fra i quali agli amici del Centro Don Minzoni.
Posso ben dire che questa amicizia nei decenni mi ha confermato e mi ha aiutato a dire i perché di questa esperienza, anche sempre ad altri, è diventata cultura come esperienza!
Questo è stato il movente per dare luogo a un’associazione degli amici dell’Alpe Li Piani… per tentare di vivere (almeno) alcuni momenti di questa esperienza di vita insieme… E non da ultimo ampliando sempre più la cerchia di amici decisi a dire di sì alla terra di montagna, a far vivere l’esperienza culturale delle montagne è stata costituita una associazione con ancora più ampi orizzonti, cioè estesa a tutto l’arco alpino europeo, transfrontaliera: Associazione Amici degli Alpeggi e della Montagna (AmAMont).
Ecco una Cultura che diventa vera fonte di esperienza e maestra del vivere. E per una cultura così val la pena impegnarsi!